SAN GERARDO MAIELLA (1726-1755)

SAN GERARDO MAIELLA (1726-1755)

San Gerardo Maiella nacque a Muro Lucano (PZ) il 6 aprile 1726 da Domenico e Bendetta Galella. La sua era una famiglia assai modesta; il padre era sarto.

Venne proclamato Santo l’11 dicembre 1904. La sua vita è stata quasi un seguito ininterrotto di prodigi e d’interventi straordinari di Dio, tan­to da poterla definire “una vita meravigliosa”.

Era la primavera del 1732. Una sera mamma Benedetta vide irrompere Gerardo in casa, gri­dando: “Mamma, guarda!…”. Aveva in mano un bianco panino regalatogli, disse, dal bambino di una bella signora. A Capodigiano, frazione di Muro Lucano, si venerava una statua della Ma­donna con il Bambino Gesù fra le braccia. Gerardo raggiungeva la chiesetta, si inginocchia­va e rimaneva a lungo in preghiera; infine Gesù Bambino scendeva e gli regalava un bianco pa­nino, che portava a casa. L’episodio si ripeté per molte volte. Da religioso redentorista, a Deliceto (FG), dirà alla sorella Brigida: “Ora so che quel bambino era Gesù”. “Vieni di nuovo a Muro così lo potrai rivedere”, replicherà la sorella. “Non c’è bisogno, dovunque io sto lo trovo dappertut­to”, risponderà Gerardo.

All’età di sette anni desiderava ardentemente ricevere Gesù Eucaristia, e un giorno si accostò all’altare per ricevere la Comunione, ma il sa­cerdote,  vedendolo così piccolo, conforme al­l’usanza  del tempo, gli rimandò la Prima Co­munione a tempo opportuno. Al mattino seguen­te, Gerardo confidò a Caterina Zaccardo: “Sa­pete, ieri il parroco mi ha rifiutato la comunio­ne; questa notte, invece me l’ha portata l’Arcan­gelo S. Michele”.

A dodici anni moriva il padre e Gerardo do­vette dedicarsi al lavoro per portare pochi spic­cioli in casa. Presso la bottega di mastro Pannuto apprese il mestiere di sarto.

A sedici anni troviamo Gerardo che presta servizio in qualità di cameriere a Lacedonia, presso Mons. Claudio Albini, un uomo intransi­gente e severo. Il palazzo vescovile invece fu testimone di un Gerardo servizievole e dolce, silenzioso e dimesso. Un giorno nell’attingere acqua, la chiave dell’episcopio gli sfugge di mano cadendo nel pozzo. Gerardo non si scoraggia, prende una statuina di Gesù Bambino, la cala nel pozzo… tira la corda… dalla manina pen­de miracolosamente la chiave smarrita.

Nell’aprile del 1749 arriva a Muro una com­pagnia di Missionari Redentoristi per predicarvi una missione. Gerardo ne rimane affascinato e decide di farsi anche lui Redentorista. La mam­ma, alla partenza dei Missionari, prevedendo le intenzioni del figlio, lo chiude a chiave nella sua stanza, ma lui non resiste. Con le lenzuola fa una corda e si cala dalla finestra, lasciando un biglietto: “Mamma, vado a farmi santo!”. Rag­giunse i missionari. “Ricevetemi” pregò, insi­stette; “mettetemi alla prova”, supplicò di nuo­vo. Il padre Cafaro, scorgendo un segno del cie­lo,davanti alla sua insistenza, lo accettò.

Era il 17 maggio 1749, Gerardo aveva 23 anni. Quando dopo tante insistenze, venne accettato in prova dai Redentoristi nella Comunità di Deliceto (FG), diede subito prova della sua santità.

“Che bel regalo ci ha fatto il padre Cafaro!”, ironizzò il Superiore scrutando la sua debole salute. Il nuovo arrivato, invece, sotto lo sguardo materno della Mamma della Consolazione e col cuore calamitato dall’Eucaristia, sbalordì i religiosi. Infaticabile ad ogni lavoro: “Lasciate fare a me, – diceva – io sono più giovane”.

Camminava verso la perfezione riproducen­do in sé l’immagine di Cristo. Il suo cuore viveva di amore di Dio, era alimentato dalla preghie­ra, viveva nella sofferenza. Soffrire per amore di Dio, soffrire con Gesù, soffrire come Gesù: era il suo programma.

Iniziò la sua vita apostolica seguendo i sacer­doti nelle missioni, oppure in cerca di elemosi­ne per il poverissimo Istituto. Egli passerà ovun­que facendo del bene, come Gesù, scuotendo anime e cuori induriti, seminando grazie e mira­coli e trascinando con la sua fede folle avide di vederlo, di sentirlo, di essere guidate nella via della perfezione. “Andate a parlare con fratello Gerardo”, dicevano i Missionari ai peccatori più recalcitranti. E i peccatori venivano – puntual­mente – trasformati in felici penitenti.

La prova più grande della sua vita fu la “ca­lunnia” ordita ai suoi danni da una certa Nerea Caggiano, che lo accusava ai suoi superiori di un’affezione morbosa con Nicoletta Cappucci. Fu chiamato dallo stesso sant’ Alfonso de Liguori, fondatore dell’Istituto, per una spiega­zione di quell’accusa. Ma lui tacque. Venne pu­nito severamente con l’interdizione dell’abito religioso e della Comunione. Quando finalmen­te la calunnia venne ritrattata, a sant’Alfonso, che gli chiedeva perché non si era discolpato, rispose: “Come avrei potuto farlo se la regola proibisce di scusarsi e vuole che si soffra in si­lenzio qualunque mortificazione?”.

Riconosciuta la sua innocenza, dopo la ca­lunnia, fu mandato a Napoli insieme al padre Margotta che doveva sbrigare delle pratiche. Si poté così dedicare maggiormente alla preghiera e a un apostolato più intenso. Cominciò a prodi­garsi visitando gli ammalati all’ospedale degli Incurabili. Dall’ospedale passò ai marciapiedi, dove incontrò i poveri. Dai marciapiedi passò alle botteghe degli artigiani e si fece artista an­che lui: modellava crocifissi esercitando il suo apostolato.

La sua fama crebbe di giorno in giorno, fin­ché raggiunse la vetta per un miracolo strepitoso. Una barca dì pescatori non riusciva a rag­giungere la riva. Dal lido, temendo la tragedia, le donne piangevano ed urlavano disperate. Gerardo si fece un segno di croce e si buttò in mare, raggiunse la barca, l’afferrò con due dita e la portò a riva.

Verso la fine di giugno 1754 Gerardo arrivò a Materdomini. Gli restavano pochi mesi di vita. Ebbe di preferenza l’ufficio di portinaio. “Padre mio, con queste chiavi spero di aprirmi le porte del Paradiso”. Questo incarico lo amò più degli altri perché gli dava la possibilità di venire in aiuto dei poveri.

A Materdomini, finiti i soldi per pagare gli operai della costruzione del convento, Gerardo intensificò le preghiere davanti alla porticina del Tabernacolo per sollecitare l’intervento di Gesù. E mentre lui era raccolto in preghiera sui gradi­ni dell’altare, suonò il campanello della porti­neria: due sacchetti di soldi erano davanti al por­tone senza sapere chi li avesse lasciati.

Durante l’inverno del 1754, a Materdomini, per le abbondanti nevicate, molta gente, rimasta senza lavoro e senza pane, ingrossò la fila dei poveri abituali bussando alla portineria del convento, dove Gerardo fungeva da portinaio. A questi poveri, Gerardo faceva trovare all’inter­no della portineria grandi bracieri accesi, poi dispensava il cibo e parlava loro di Dio, riman­dandoli alle loro case rifocillati nel corpo e nel­lo spirito. Si inteneriva per i bambini per i quali aveva un’attenzione particolare. Si commoveva per i poveri vergognosi e per le ragazze tentate di barattare il proprio onore per un pezzo di pane. In tanta miseria vuotò guardaroba, dispensa, cucina. Dio manifestò la santità del suo servo con i miracoli, moltiplicando spesso i pochi vi­veri a disposizione. Sarà chiamato in Caposele “Padre dei poveri”.

Consumato dalla tubercolosi, il letto divenne per lui un altare su cui si sacrificava per la sal­vezza del mondo. Sulla porta della stanza aveva fatto scrivere: “Qui si fa la volontà di Dio, come vuole Dio e per tutto il tempo che vuole Dio”. Sul punto di morire, al medico Santorelli che gli chiedeva se voleva vivere o morire, disse: “Né vivere, né morire; voglio solo ciò che vuole Dio”.

Sorridendo alla Madonna che gli era apparsa ed esclamando: “Oh la Madonna, quanto è bel­la!” la sua anima volò al cielo. Erano circa le due del mattino del 16 ottobre 1755.

San Gerardo Maiella – a cura del Santuario – Materdomini